I problemi comportamentali dei bambini: sintomi psichiatrici o tratti del temperamento?L’approccio diagnostico proposto dall’autore in questo articolo è strettamente legato al concetto di “differenze individuali” e alla consapevolezza che ogni bambino è diverso da tutti gli altri. Anche se alcune differenze individuali sono state classificate ed etichettate come disturbi mentali (vedi le classificazioni internazionali dell’ICI-10 e del DSM), l’autore sottolinea che “diverso” non necessariamente significa “anormale”.
C’è un’enorme differenza tra l’affermare che un bambino, o un suo comportamento, è nella “media” ed affermare che è “normale”. Quello di “media” è un concetto statistico che fa riferimento alla cosiddetta “curva gaussiana”, dove la gran parte dei soggetti si distribuisce intorno alla media, mentre una piccola parte se ne discosta ricadendo o nell’estremità inferiore o superiore della curva. Quindi, come di un bambino normale non si può dire che è un bambino medio, di un bambino il cui comportamento non rientra nella media, non si può sempre dire che è anormale.Da questo ragionamento scaturisce che l’atteggiamento più giusto da assumere prima di prendere una decisione diagnostica sarebbe, da una parte, considerare come normale un’ampia “gamma di comportamenti” piuttosto che un solo tipo e, dall’altra, usare estrema cautela prima di classificare il comportamento di un bambino come patologico.
Due diversi approcci diagnostici
Considerare il comportamento di un bambino come disturbo psichiatrico piuttosto che come “temperamento difficile” dipende dal sistema diagnostico scelto dallo specialista. Un sistema è quello di tipo categoriale (l’approccio tipico del DSM), che definisce rigidamente le caratteristiche del disturbo, l’eziologia, i criteri necessari alla sua identificazione, oltre che gli strumenti che possono confermare la diagnosi e gli specifici trattamenti.
Un altro sistema è quello che considera il comportamento di un bambino inserito lungo un continuum e qualora siano soddisfatti determinati criteri (prevalentemente di tipo quantitativo) si può fare una certa diagnosi. Questo secondo approccio è meno rigido del primo e tiene conto del contesto in cui il comportamento si manifesta.
E’ convinzione dell’autore che questo secondo approccio sia da preferire perché, quando si ha a che fare con il comportamento umano, in modo particolare se si tratta di bambini, il sistema di tipo categoriale può essere fuorviante. Infatti, i bambini sono in una condizione di sviluppo in cui ci sono continui cambiamenti, talvolta anche molto rapidi, che possono indurre facilmente in errori di valutazione dal punto di vista diagnostico.
Una definizione di temperamento.
Si può definire temperamento la parte innata della personalità di un individuo. Complessivamente la personalità si forma dall’interazione di queste caratteristiche innate con l’ambiente; più un bambino cresce più l’influenza dell’ambiente aumenta fino a che la personalità non è completamente sviluppata. Nei bambini, in particolare in quelli più piccoli, i tratti temperamentali sono molto più importanti e la domanda che un terapeuta dovrebbe sempre porsi prima di fare una diagnosi è: “Che tipo di personalità ha questo bambino?”
Il temperamento può essere visto in un certo senso come lo stile comportamentale di un individuo. A titolo di esempio prendiamo in considerazione tre diversi bambini (uguali tra loro per età, quoziente intellettivo, stato sociale e tipo di famiglia) impegnati a fare i compiti a casa.Dei tre bambini:
- il primo accetta le indicazioni dei genitori ascoltandoli attentamente; si siede, lavora sodo, finisce rapidamente, e passa a fare un’altra attività. Questo può essere considerato sicuramente un bambino facile da educare;
- il secondo all’inizio si mostra riluttante a fare i compiti e si lamenta, ma dopo aver cominciato, sembra interessarsi e lavorare bene. Tuttavia, quando arriva l’ora di cena ed i genitori vogliono che lui vada a tavola, si mostra nuovamente riluttante a smettere di fare i compiti. Questo bambino ha difficoltà ad interrompere bruscamente l’attività che sta svolgendo per passare a fare dell’altro e può essere classificato come “lento nell’adattarsi ai cambiamenti”, sicuramente un tratto temperamentale;
- il terzo sembra ascoltare le indicazioni dei genitori e si mostra impaziente di iniziare, ma essendo molto vivace, si distrae in continuazione. Si siede per fare i compiti, ma dopo dieci minuti ha già perso la concentrazione. Questo bambino è iperattivo e fortemente distraibile.
Senza dubbio tutti e tre questi bambini sono normali, ma hanno un temperamento diverso che non può non essere tenuto presente se si ha come obiettivo fargli fare i compiti.
Il temperamento può anche essere definito come: l’insieme delle caratteristiche di una persona che cominciano a manifestarsi già nei primi mesi di vita e che determinano parte della sua personalità. Alcune caratteristiche del temperamento sono presenti alla nascita, infatti, chiunque può notare certe differenze tra i neonati: per esempio, c’è quello che piange sempre e quello che sta tranquillo; quello che segue con lo sguardo gli stimoli esterni e quello che distoglie continuamente lo sguardo dagli oggetti che lo circondano. In genere, il temperamento di un individuo è più facilmente individuabile a partire dal primo anno di vita; verso i sei anni, poi, l’influenza dell’ambiente si fa più determinante e i tratti del temperamento sono stemperati dalle forze esterne.
In linea di massima i tratti del temperamento possono essere suddivisi in 10 categorie (vedi la tabella allegata). Per ciascun tratto bisogna immaginare un continuum che va dall’estremo “facile” a quello “difficile”. E’ possibile descrivere il comportamento di un bambino in base ai tratti temperamentali. Per esempio, quando si parla di un “bambino con carattere difficile” o semplicemente “bambino difficile”, si sta parlando di una persona le cui caratteristiche comportamentali tendono a collocarsi prevalentemente all’estremità identificata come “difficile”.
Prendere una decisione in fase diagnostica
Il sistema di tipo categoriale prevede che, se un bambino presenta un certo numero di caratteristiche, viene incluso in una categoria diagnostica e quindi si dirà che ha un determinato disturbo; viceversa se non presenta quel numero di caratteristiche si dirà che non ce l’ha.
Tuttavia, una diagnosi non è mai così semplice. Tutte le diagnosi psichiatriche sono, di fatto, sindromi comportamentali e non entità diagnostiche caratterizzate da una storia definita e da anomalie fisiche o da analisi cliniche tali da determinare inequivocabilmente la diagnosi.
Si prenda ad esempio il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività (DDAI), che prevede due sottocategorie, quella con predominanza di iperattività-impulsività e quella con predominanza di distraibilità. I criteri diagnostici del DSM prevedono che il bambino esibisca almeno sei comportamenti specifici, in un arco di tempo di almeno sei mesi. Ma come bisogna regolarsi se il bambino esibisce solo cinque dei comportamenti critici, da più di otto mesi o viceversa? La diagnosi di DDAI va fatta ugualmente oppure no?
Inoltre, la diagnosi delle sindromi comportamentali necessita di descrizioni che sono, per lo più, di tipo soggettivo e qualitativo. Per esempio, i criteri per la diagnosi di DDAI sono tutti qualificati da avverbi come “spesso” e “facilmente” e lo stesso questionario diagnostico, compilato nello stesso momento da due insegnanti diversi, può evidenziare valutazioni tra loro sostanzialmente differenti. Quale può essere la causa di queste discrepanze? Sembrerà strano, ma variabili quali la personalità dell’insegnante, la stanchezza, i livelli di stress possono condizionare questo tipo di diagnosi.
L’approccio di tipo categoriale pone l’accento sul fatto che tra un comportamento normale e uno patologico vi sono differenze qualitative. L’approccio che, invece, considera i comportamenti distribuiti lungo un continuum dà importanza alle differenze quantitative e prevede che ogni comportamento possa presentarsi con frequenza e intensità diverse. Per esempio, la distraibilità, dal punto di vista qualitativo, è uguale in un bambino normale e in uno con DDAI; la differenza sta piuttosto nel grado di distraibilità; è su questa base che si dovrebbe decidere il tipo d’intervento da attuare. Non vi è dubbio che nel caso di altri disturbi mentali vi siano, invece, differenze qualitative; infatti, il comportamento di una persona schizofrenica è qualitativamente assai diverso da quello di una persona “bizzarra”.
Per capire meglio l’approccio che considera i comportamenti distribuiti lungo un continuum prendiamo ad esempio la reazione di un bambino piccolo ad una situazione nuova: la risposta si distribuisce su un continuum che va dal sano al patologico, infatti, un bambino può dapprima allontanarsi dalla situazione nuova, ma dopo poco avvicinarsi tranquillamente; un altro, invece, può scappare via e aggrapparsi alla mamma senza staccarsi da lei per lungo tempo, senza riuscire ad affrontare la situazione (atteggiamento tipico dei bambini che hanno un disturbo d’ansia da separazione). Anche in questo caso le differenze sono di tipo quantitativo. Quest’approccio diagnostico richiede di mettere sempre in relazione il comportamento evidenziato, con il bambino che si ha di fronte: se un bambino mostra un comportamento dirompente in ogni circostanza, soddisfacendo un certo numero dei criteri diagnostici del DDAI, ma il suo temperamento lo porta ad essere sempre in movimento e impulsivo, ciò che voi state osservando probabilmente è solo un’accentuazione del suo temperamento. Di contro, se un bambino che è sempre stato calmo e poco attivo, all’improvviso è diventato iperattivo e controlla male i suoi impulsi si può trattare di un problema da affrontare seriamente in quanto si è in presenza di una chiara deviazione da ciò che è stato lo stile comportamentale di quel bambino.
L’importanza del contesto
Il sistema categoriale ignora il contesto; secondo quest’approccio non importa dove il comportamento si manifesta, basta solo che un dato comportamento sia presente per emettere la diagnosi. Tuttavia, il contesto non può essere ignorato poiché alcuni comportamenti si manifestano più facilmente in certe situazioni e meno in altre. Prendiamo ad esempio il caso clinico di un bambino che a scuola si era mostrato impulsivo, iperattivo e aggressivo, tanto da arrivare alla sospensione. Poiché il suo comportamento soddisfaceva i criteri diagnostici del DDAI previsti dal DSM IV, gli furono prescritti alcuni farmaci finché il suo comportamento non si stabilizzò ad un livello tale da consentirgli il rientro a scuola nella sua classe, (composta da 25 alunni) e fino alla fine dell’anno scolastico. L’anno successivo su consiglio del terapeuta, il bambino fu iscritto in un’altra scuola, in un ambiente per lui meno “distraente” (in quanto la classe era composta solo da 12 bambini) ed in grado di offrire un maggiore sostegno (in quanto presenti due insegnanti). In conseguenza di questa scelta non si evidenziarono più i problemi comportamentali che lo avevano portato dallo specialista; ciò non perché il bambino fosse nel frattempo diventato un angelo, ma perché nella nuova situazione, era diventato più facile per lui controllare il suo comportamento senza dover ricorrere all’aiuto dei farmaci.
Questo caso evidenzia l’importanza del contesto e della scelta dell’approccio diagnostico giusto, soprattutto quando ci si trova di fronte a sindromi come il DDAI.
Secondo l’approccio categoriale, il DDAI è un disturbo e va trattato come tale, magari usando i farmaci e, esattamente come si farebbe con gli antibiotici, se il bambino non risponde al trattamento s’incrementa la dose oppure si aggiunge un altro farmaco.
Percorsi diagnostici diversi, domande diverse
In conclusione, va ribadito nuovamente che la distinzione tra un temperamento difficile e un disturbo psichiatrico non è semplice. La differenza non è mai netta anzi, spesso, è solo in termini quantitativi. Tra il bianco (o sano) e il nero (o patologico) c’è una vasta area grigia, dove è il contesto a determinare in che punto del continuum il bambino si troverà in un dato momento.
L’approccio suggerito dall’autore è decisamente conservativo; infatti, sono necessarie due condizioni specifiche per effettuare una diagnosi psichiatrica: da una parte, bisogna constatare la presenza di un deterioramento significativo di alcune funzioni; dall’altra, che i problemi comportamentali siano indipendenti dal contesto, cioè devono presentarsi in qualunque posto o situazione.
Con questo approccio è necessario capire quanto il bambino è compatibile con il suo ambiente e se la compatibilità può essere accresciuta, inoltre, è importante individuare i punti di forza e le qualità del bambino su cui fare leva per fronteggiare il problema.
La domanda fondamentale che lo specialista dovrebbe porsi non è tanto “Come posso trattare il problema comportamentale di questo bambino?”, quanto piuttosto, “Come posso aiutarlo ad adattarsi alla situazione ed accrescere la sua autostima?”
Tabella. I dieci tratti del temperamento infantile
TRATTO | DESCRIZIONE | QUALITA’ | ||||
Facile | Difficile | |||||
Attività | Definizione generale del livello di attività motoria; la quantità effettiva dei movimenti durante il gioco, il sonno, i pasti, ecc. | Bassa o moderata | Alta; il bambino è iperattivo | |||
Autocontrollo | La capacità di rinviare azioni o richieste. | Buono; il bambino è paziente | Scarso; il bambino è impulsivo | |||
Concentrazione | La capacità di mantenere l’attenzione nonostante la presenza di stimoli che distraggono. | Buona; il bambino resta concentrato | Scarsa; il bambino si distrae facilmente | |||
Intensità della risposta | Intensità della reazione; le caratteristiche sia positive che negative della reazione. | Bassa o moderata; il bambino è tranquillo | Alta; il bambino è vigoroso e rumoroso | |||
Regolarità | Prevedibilità delle funzioni vitali, come fame, ciclo sonno-veglia, funzioni intestinali. | Regolare; il bambino è preveibile | Irregolare; il bambino è imprevedibile | |||
Perseveranza | Perseveranza sia in termini positivi (è concentrato quando coinvolto, che negativi (cocciuto, nnon si arrende mai) | Bassa; il bambino è facilmente distraibile | Alta; il bambino è cocciuto, ma anche concentrato quando è interessato | |||
Soglia sensoriale | Sensibilità agli stimoli fisici (suoni, profumi, gusti, tatto, dolore, temperatura). | Elevata; bambino poco sensibile agli stimoli | Bassa; bambino ipersensibile agli stimoli | |||
Reazione alle novità | La caratteristica reazione iniziale nei confronti di eventi o persone nuove. | Il bambino accetta l’approccio e va avanti | Il bambino rifiuta l’approccio e si ritira | |||
Adattabilità | Tolleranza ai cambiamenti, facilità con cui si adatta alle situazioni nuove. | Buona; il bambino è flessibile | Scarsa; il bambino è rigido | |||
Umore predominante | Le caratteristiche generali dell’umore. | Positivo; il bambino è solare | Negativo; il bambino è cupo | |||
Ogni tratto temperamentale è distribuito lungo un continuum i cui estremi sono definiti dalle qualità elencate nella tabella. Le qualità riportate nella sezione “facile” possono ritenersi punti di forza della personalità, mentre, quelle riportate nella sezione “difficile” possono costituire dei problemi in quanto fonte di conflitto tra il bambino e il mondo intorno a lui.